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sabato 2 novembre 2013

Il "Patto dei Sindaci"

Il Patto dei Sindaci (Convenant of Mayors) è un’iniziativa promossa dalla Commissione europea per coinvolgere attivamente le città europee nella strategia verso la sostenibilità energetica ed ambientale. L’iniziativa è stata lanciata dalla Commissione il 29 Gennaio 2008, nell’ambito della seconda edizione della Settimana europea dell’energia sostenibile (EUSEW 2008).
Il Patto, al quale hanno aderito sinora oltre 1600 città tra cui 20 capitali europee e numerose città di paesi non membri dell’UE, con una mobilitazione di oltre 140 milioni di cittadini, fornisce alle amministrazioni locali l’opportunità di impegnarsi concretamente nella lotta al cambiamento climatico attraverso interventi che modernizzano la gestione amministrativa e influiscono direttamente sulla qualità della vita dei cittadini. I firmatari rappresentano città di varie dimensioni, dai piccoli paesi alle maggiori aree metropolitane.


La mobilità pulita, la riqualificazione energetica di edifici pubblici e privati e la sensibilizzazione dei cittadini in tema di consumi energetici rappresentano i principali settori sui quali si concentrano gli interventi delle città firmatarie del Patto. Le amministrazioni locali, in virtù della loro vicinanza ai cittadini sono in una posizione ideale per affrontare le sfide in maniera comprensiva. In particolare, esse si impegnano a rispettare l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra nocivi del 20% entro il 2020, come previsto dalla strategia 20-20-20 dell’Unione europea. Il Patto dei Sindaci per l’energia rappresenta anche un’occasione di crescita per l’economia locale, favorendo la creazione di nuovi posti di lavoro ed agendo da traino per lo sviluppo della Green Economy sul proprio territorio. L’obiettivo del Patto è aiutare i governi locali ad assumere un ruolo punta nel processo di attuazione delle politiche in materia di energia sostenibile.
Tutti i firmatari del Patto dei Sindaci prendono l’impegno volontario e unilaterale di andare oltre gli obiettivi dell’UE in termini di riduzioni delle emissioni di CO2. Per le sue singolari caratteristiche, essendo l’unico movimento di questo genere a mobilizzare gli attori locali e regionali ai fini del perseguimento degli obiettivi europei, il Patto dei Sindaci è considerato dalle istituzioni europee come un eccezionale modello di governance multilivello.


Per raggiungere questo obiettivo i governi locali si impegnano a:
  1.     Preparare un Inventario Base delle Emissioni (IBE),
  2.   Presentare un Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile (PAES), approvato dal Consiglio Comunale entro l’anno successivo all'adesione ufficiale al Patto dei Sindaci, e includere concrete misure per ridurre le emissioni almeno del 20% entro il 2020,
  3.  Pubblicare regolarmente – ogni 2 anni dopo la presentazione del Piano – un Rapporto sull'Attuazione approvato dal consiglio comunale che indica il grado di realizzazione delle azioni chiave e i risultati intermedi.
Il piano d’Azione per l’Energia Sostenibile (PAES) è un documento chiave volto a dimostrare in che modo l'amministrazione comunale intende raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica entro il 2020. In questa visione, le realtà comunali rappresentano la cellula istituzionale più piccola alla quale può essere richiesta responsabilità in tema di pianificazione energetica e possono essere fissati degli obiettivi. Il Sindaco, nella figura di responsabile degli impegni che competono al Comune, assume, quindi, un nuovo compito-dovere, quello di assicurare il raggiungimento in tema di produzione e consumi energetici di obiettivi quantitativi.


Per semplicità operativa e per dare maggior rilievo a quanto oggi è ritenuto di maggiore urgenza, i PAES impegnano le Amministrazioni Comunali al solo obiettivo sui gas serra, prevalentemente interpretato come riduzione delle emissioni di anidride carbonica, CO2. Essendo l’impegno importante, non scevro dalla necessità di reperire risorse finanziarie per mettere in atto gli interventi, e potendo fare sinergia tra le competenze all'interno delle varie realtà comunali, l’idea di confederarsi in un Patto è certamente vincente.
Tenendo in considerazione i dati dell’Inventario Base delle Emissioni, il Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile identifica i settori di intervento più idonei e le opportunità più appropriate per raggiungere l’obiettivo di riduzione di CO2, inoltre definisce misure concrete di riduzione, insieme a tempi e responsabilità, in modo da tradurre la strategia di lungo termine in azione.
In seguito all'approvazione da parte del consiglio comunale, i PAES devono essere inoltrati entro un anno dalla firma del Patto. L’impegno dei firmatari copre l’intera area geografica di competenza dell’autorità locale (paese,città,regione); il Piano d'azione, al fine di ridurre le emissioni di CO2 e il consumo finale di energia da parte degli utenti finali, deve includere azioni concernenti sia il settore pubblico sia quello privato. Ogni nuovo progetto di sviluppo approvato dall'autorità locale rappresenta quindi un’opportunità per ridurre il livello di emissioni.
Il Piano individua quindi fattori di debolezza, rischi, punti di forza ed opportunità del territorio in relazione alla promozione delle Fonti Rinnovabili di Energia e dell’Efficienza Energetica, e quindi consente di poter definire i successivi interventi atti a ridurre le emissioni di CO2. La valutazione di riferimento delle emissioni rappresenta la base per il monitoraggio dell’obiettivo di riduzione di CO2, oltre a facilitare l’identificazione delle principali aree di azione per la riduzione delle emissioni di CO2.



lunedì 14 gennaio 2013

Classificazione Energetica

Da un'analisi recente gli immobili assorbono circa il 40% del consumo energetico totale dell’Unione Europea e costituiscono così la più grande fonte di emissioni di gas climalteranti.

Sul tema della certificazione energetica il 2 febbraio 2007 è entrato in vigore il D.Lgs. 311/2006, che ha recepito le Direttive sul tema e ha modificato in parte il D.Lgs. 192/2005 prevedendo, a partire dal 1° luglio 2007, l’obbligo di certificazione energetica per gli edifici esistenti superiori a 1.000 m2 ed estendendolo dal 1° luglio 2008 a tutti gli edifici, mentre dal 1° luglio 2009 anche alle singole unità immobiliari nel caso di trasferimento della proprietà. 

Per classificazione energetica degli edifici si intende quell'operazione che permette di quantificare l'ammontare dell'energia che viene consumata all'anno per mantenere l'edificio stesso e consente pertanto di attribuire alle abitazioni una classe, dalla più virtuosa energeticamente, e quindi economicamente, alla più dispendiosa. Gli edifici a basso consumo energetico si collocano all’interno di una specifica classe energetica in base a quanto combustibile consumano all'anno per ogni metro quadro di superficie riscaldata.

Le classi energetiche sono le seguenti:


La certificazione energetica degli edifici fornisce uno strumento di informazione per l'acquirente o il proprietario sulla prestazione energetica ed il grado di efficienza di abitazioni e fabbricati e contribuisce a rivalutarne l’immagine e ad incrementarne il valore di mercato; a garanzia della sua attendibilità, la certificazione energetica dovrà essere rilasciata da esperti o organismi terzi estranei alla proprietà, dei quale dovranno essere garantiti la qualificazione e l'indipendenza. 

Come valutare la classe energetica del proprio edificio

La classe energetica non dipende solamente dalla tipologia del riscaldamento presente, ma anche dalle tipologie di materiali, pareti e serramenti, che costituiscono l’involucro dell’edificio. La classificazione energetica varia anche in base alla zona climatica di appartenenza. L’unità di misura utilizzata per individuare le sei aree in cui è stata suddivisa l’Italia è il cosiddetto “Grado-Giorno(GG), che corrisponde alla somma (riferita al periodo di funzionamento dell’impianto di climatizzazione invernale) delle differenze giornaliere tra la temperatura media esterna giornaliera e la temperatura ambiente di 20 gradi.



La prima cosa da fare per stimare la classe energetica di un edifico con riscaldamento autonomo è determinare dalle proprie bollette gas il consumo annuo in metri cubi di gas metano per il riscaldamento invernale. Una volta individuato questo valore, occorre moltiplicarlo per 8,3 per ottenere il consumo annuo espresso in kWh termici. Infine, si divide tale consumo per i metri quadri di superficie utile dell’abitazione, ricavando in questo modo il consumo annuo per metri quadrati per il riscaldamento invernale, espresso in kWh termici.

Per semplificare questo calcolo da oggi si può fare affidamento al nuovo sistema sviluppato da SunergySOL, azienda piemontese specializzata nelle soluzioni per l’energia; grazie al suo sistema è possibile ricevere un’analisi completa della classificazione energetica dell’immobile semplicemente inserendo in un form online alcune informazioni relative ai propri consumi energetici e alle caratteristiche della nostra casa. Inoltre nell’analisi che effettua SunergySOL non solo compare la classe energetica di appartenenza dell’edificio, ma sono indicati anche gli interventi che possono essere realizzati per ottimizzare i consumi di energia.




martedì 8 gennaio 2013

L'innovazione energetica in edilizia


L’Unione Europea ha definito una strategia di riduzione autonoma delle emissioni climalteranti formalizzata nella direttiva 2009/28/CE del 5 giugno 2009, con specifici indirizzi relativi alle fonti rinnovabili. Facendo riferimento alla scadenza del 2020 la strategia europea si esprime con tre obiettivi:
- consumi di fonti primarie ridotti del 20% rispetto alle previsioni tendenziali, mediante aumento dell’efficienza.
- emissioni di gas climalteranti ridotte del 20%, secondo impegni già presi in precedenza, protocollo di Kyoto, ETS (Emissione Trading Scheme).
- aumento al 20% della quota di fonti rinnovabili nella copertura dei consumi finali (usi elettrici, termici e per il trasporto).

Gli immobili assorbono circa il 40% del consumo energetico totale dell’Unione Europea e costituiscono la più grande fonte di emissioni; migliorando le loro prestazioni energetiche si riuscirebbe a raggiungere gli obiettivi sulle emissioni di CO2 fissati per il 2020.
Per questo motivo l'Unione Europea ha stabilito che dal 2021 per i privati e dal 2019 per gli enti pubblici, gli edifici di nuova costruzione dovranno essere neutrali dal punto di vista energetico, ossia devono poter fare a meno di apporti per il riscaldamento e il raffreddamento o riuscire a soddisfarli attraverso fonti rinnovabili; il passaggio a questa rivoluzione energetica non è immediato, il percorso si compone quindi di step  graduali stabiliti dalle direttive europee che vengono recepite dagli stati dell'Unione e tradotti in leggi nazionali.

Per quanto riguarda le prestazioni degli edifici la Direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico degli edifici si può considerare l’inizio di un processo che anche in Italia ha portato ad una maggiore consapevolezza di quanto il settore dell’edilizia debba migliorare i propri standard e possa contribuire alla diminuzione delle emissioni climalteranti. Con il Dlgs 192/2005 la Direttiva è stata recepita nel nostro Paese, stabilendo i criteri, le condizioni e le modalità per migliorare le prestazioni energetiche degli edifici al fine di favorire lo sviluppo, la valorizzazione e l’integrazione delle fonti rinnovabili e la diversificazione energetica.

Sul tema della certificazione energetica il 2 febbraio 2007 è entrato in vigore il D.Lgs. 311/2006, che ha recepito le Direttive sul tema e ha modificato in parte il D.Lgs. 192/2005 prevedendo, a partire dal 1° luglio 2007, l’obbligo di certificazione energetica per gli edifici esistenti superiori a 1.000 m2 ed estendendolo dal 1° luglio 2008 a tutti gli edifici mentre dal 1° luglio 2009 anche alle singole unità immobiliari nel caso di trasferimento della proprietà. In particolare il Decreto stabilisce la metodologia per il calcolo delle prestazioni energetiche, le ispezioni da effettuare per gli impianti di climatizzazione e la sensibilizzazione nei confronti dei cittadini per l’uso razionale dell’energia.

Per le fonti rinnovabili, la Direttiva 2002/91/CE prevede la valorizzazione delle fonti rinnovabili per migliorare le prestazioni energetiche degli edifici. Dal primo Giugno 2012 nei nuovi edifici, e nei casi di ristrutturazioni non “leggere”, gli impianti di produzione di energia termica dovranno essere progettati e realizzati in modo da garantire il contemporaneo rispetto della copertura, tramite il ricorso ad energia prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili, del 50% dei consumi previsti per l’acqua calda sanitaria e di percentuali stabilite della somma dei consumi previsti per l’acqua calda sanitaria, il riscaldamento e il raffrescamento.

Ma direttive a parte, quali sono gli elementi che permettono di rendere un edificio neutrale dal punto di vista energetico? Ecco i principali:
- isolamento termico
- utilizzo di fonti rinnovabili
- tecnologie per ottenere l'efficienza energetica
- orientamento/schermatura del sole per ottenere le massime prestazioni
- utilizzo di materiali locali e riciclabili nell'ottica del ciclo di vita dei prodotti
- risparmio idrico e recupero delle acque meteoriche ( interessante è anche la divisione delle acque di scarto per un miglior riutilizzo e depurazione di queste)
- tetti verdi per aumentare la superficie vegetale e al tempo stesso migliorare la capacità dell'edificio di mantenere la temperatura interna.
Ogni elemento è importante e complementare agli altri e necessita di una trattazione specifica nei prossimi post. 

Fonti: Rapporto ONRE 2012 
http://www.legambiente.it/contenuti/dossier/rapporto-onre-2012

domenica 1 aprile 2012

Etichettatura ambientale di prodotto: cos'è, a cosa serve

Al giorno d'oggi tutti noi siamo chiamati a fare scelte più consapevoli allo scopo di migliorare la qualità del mondo in cui viviamo e possiamo farlo in prima persona come consumatori scegliendo di comprare e di conseguenza promuovere quei prodotti che hanno un impatto minore sull'ambiente.
Ma io consumatore che non conosco i processi che stanno dietro al prodotto sullo scaffale del supermercato come faccio a sapere qual'è il migliore? Proprio a questo scopo sono state introdotte le etichette ambientali di prodotto e di processo; si definisce quindi etichetta ambientale l'asserzione che indica gli aspetti ambientali di un prodotto o servizio.

Le etichette si distinguono in tre diverse tipologie ma quelle che interessano direttamente noi come consumatori sono quelle con destinatario BtoC (Business to Consumer) ossia quelle del primo e secondo tipo ( nel disegno a fianco verde e viola).

Le etichette di TIPO 1 hanno lo scopo di garantire il rispetto di alcuni limiti soglia che vengono fissati appositamente per ogni categoria allo scopo di promuovere solo il 10-20% dei prodotti sul mercato e di permettere quindi al consumatore di scegliere il migliore. I limiti soglia per ogni categoria di prodotto vengono stabiliti attraverso uno studio del ciclo di vita del prodotto stesso: vengono cioè esaminati tutti gli impatti ambientali dall'estrazione della materia prima, alla fabbricazione del prodotto, al suo trasporto per concludere col suo smaltimento o riciclaggio; le etichette di tipo 1 una volta potevano essere applicate solo ai prodotti, oggi invece è possibile trovarle riferite anche ai servizi come ad esempio al turismo.
Un'azienda che ritiene che il suo prodotto rispetti tali limiti lo sottopone ad una valutazione di conformità dopo la quale, se il prodotto è conforme, ottiene l'etichetta ecologica da applicare al prodotto; nate come etichette nazionali,ad esempio il "White Swan" nei Paesi Scandinavi, "Blauer Engel" in Germania, nel 1992 nasce l'etichetta ecologica europea con nome ECOLABEL.


Le etichette di TIPO 2 consistono in un'asserzione ambientale auto-dichiarata dall'azienda stessa e non necessita di certificazione di terza parte; è l'etichetta più semplice e quindi più immediata nel fornire informazioni sul prodotto che stiamo acquistando. L'azienda può fornire attraverso l'etichetta una sola informazione riguardante il basso impatto ambientale del prodotto ( ad esempio se è biologico o prodotto con materiale riciclato) e per farlo deve seguire la normativa di riferimento utilizzando etichette comuni e facili da comprendere; le asserzioni devono essere chiare e non fuorvianti ( prodotto "verde" o "amico dell'ambiente" non definisco in che modo il prodotto abbia un minor impatto sull'ambiente) e inoltre deve essere specificato a che parte del prodotto si riferiscono ( un pacco di fogli per la stampante può essere venduto in una scatola prodotta con carta riciclata ma non implicata che la carta all'interno sia stata fatta nello stesso modo!); l'azienda che decide di utilizzare un'etichetta di questo tipo nell'atto dell'auto-dichiarazione mette a disposizione di tutti le informazioni riguardanti il prodotto in tutto il suo processo, garantendo quindi la veridicità dell'etichetta.
Un'esempio di etichetta di questo tipo è il "Ciclo di Mobius" che indica la riciclabilità o con la percentuale il contenuto di materiale riciclato.
L'utilizzo di queste etichette ambientali è volontario ed i vantaggi sono molteplici; il fatto che sia volontario e non obbligatorio motiva l'azienda a interessarsi alle tematiche ambientali allo scopo di sostenere il proprio marketing e competere con le aziende dello stesso settore: il consumatore sarà invogliato a scegliere il prodotto che a parità di prestazioni ha minor impatto ambientale, inoltre l'etichetta stessa permette una maggiore visibilità sul mercato. Il raggiungimento dell'etichetta permette di conoscere a fondo i processi di produzione e quindi di migliorarli per ridurne l'impatto sull'ambiente grazie anche all'ottenimento di finanziamenti. Attraverso le etichette si collega l'impatto ambientale alle prestazioni e ai costi del prodotto permettendo ai consumatori di fare scelte più consapevoli indirizzando così il mercato verso livello di qualità ambientale sempre maggiori.

ESEMPI DI ETICHETTE AMBIENTALI
Altre info su:  http://www.etichettaambientale.it/

domenica 4 dicembre 2011

CONAI: riciclo record nel 2010

In occasione dell'apertura di Ecomondo, CONAI, il Consorzio Nazionale Imballaggi, presenta i dati sulla raccolta del 2010, dimostrando come il successo del riciclaggio possa diventare motore dell'economia e della tutela ambientale.

Nel 2010 il riciclo complessivo (riciclo + recupero energetico) degli imballaggi in alluminio, acciaio, carta, legno, plastica e vetro ha raggiunto la percentuale di 74,9% rispetto a quanto immesso sul mercato, per un totale di 8,3 milioni di tonnellate di imballaggi sugli 11,2 milioni immessi; anche per quanto riguarda il solo dato di riciclo dei rifiuti di imballaggio, pari a 64,8% ,viene confermato il superamento degli obiettivi previsti dalla normativa europea e da quella italiana. In pratica significa che 3 imballaggi su 4 sono stati avviati al recupero permettendo di risparmiare nella produzione di nuovi imballaggi e nella conseguente produzione di anidride carbonica: si stima che nel 2010 i benefici economici netti ottenuti in termici economici, ambientali e sociali siano stati di 1,3 miliardi di euro e che si sia evitata l'emissione nell'atmosfera di ben 63,3 milioni di tonnellate di CO2. Inoltre il riciclaggio degli imballaggi ha permesso di diminuire enormemente l'afflusso in discarica, evitando di costruirne di nuove.

DATI RICICLO 2010
Le previsioni per l'anno 2011 sono quindi rosee: si auspica al raggiungimento del 74,9% del recupero rispetto al 72,9% del 2009, che equivarrebbe al riciclo totale di 8,5 tonnellate, e ad un beneficio economico di 1,4 miliardi di euro.
Oltre all'obiettivo primario della tutela ambientale troviamo nel riciclaggio un beneficio economico significativo: dal 1999 al 2011 i dati complessivi del beneficio economico per il nostro paese proveniente dal riciclo degli imballaggi sono pari a 10,5 miliardi di euro. Il sistema Conai ha inoltre generato quasi 90mila occupati (dato 2009) dimostrando come questo settore, nonostante la crisi economica in atto, posso rappresentare un nuovo motore per lo sviluppo dell'industria del riciclo e dell'occupazione e una risorsa per l'ambiente nel nostro paese; il riciclo in Italia oggi conta circa 3700 aziende di raccolta e gestione dei servizi di igiene urbana, 3600 centri di selezione e trattamento dei rifiuti e 170 impianti di riciclo.

GESTIONE DEI RIFIUTI 
Il Conai per quanto riguarda il futuro punta quindi a potenziare ulteriormente la raccolta differenziata promuovendone la qualità per aumentare la quantità di materiale recuperato, ma allo stesso tempo di prevenire l'impatto ambientale degli imballaggi promuovendo attività di sensibilizzazione. A lungo termine il nostro paese dovrà anche affrontare i nuovi obiettivi fissati dalla Direttiva Europea sui rifiuti del 2008 sul riciclo nei materiali entro il 2020; il sistema di gestione degli imballaggi realizzato in Italia potrebbe rappresentare un utile modello di riferimento per gli altri paesi europei.